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Esposizione al freddo: biohacking o mito? Parte 1

esposizione freddo 1

L’esposizione al freddo per migliorare la nostra salute, accelerare i tempi di recupero nello sport o guarire da infortuni è ormai ampiamente utilizzata e per molti è oramai una costante nella vita quotidiana, tanto che nessuno mette in discussione i benefici apportati…o forse si?!

Con questo articolo cerchiamo di comprendere meglio quando esporre il nostro corpo, o solo una parte, è realmente utile per la nostra salute e quando invece è semplicemente figlio di miti e false credenze che ancora oggi sono dure a morire.

Tecniche di esposizione al freddo

Esistono varie tecniche che si possono utilizzare per esporsi al freddo. La più costosa e meno pratica è sicuramente la crioterapia, che utilizza dei piccoli container in cui entrare con tutto il corpo lasciando la testa fuori. All’interno l’aria arriva a temperature veramente basse, anche sotto i 100 gradi.

Si possono però utilizzare anche bagni nell’acqua fredda (a casa o all’aperto) o semplicemente una doccia fredda. Vedremo poi all’interno dell’articolo quali sono i parametri da rispettare.

phase change material

Più recente è invece l’utilizzo di PCM (Phase Change Material), materiali a cambiamento di fase che permettono di mantenere una bassa temperatura per molto tempo. Nel mondo dello sport sono particolarmente utilizzati perchè possono essere addirittura indossati evitando quindi di costringere l’atleta a rimanere nel centro sportivo e possono essere localizzati specificatamente nelle aree di maggiore necessità.

Freddo e infortuni

Partiamo dagli infortuni muscolo-scheletrici che tutti quanti abbiamo subito almeno una volta nella nostra vita, siano essi accorsi durante la pratica sportiva, lavorativa o impegni domestici. In questi casi il protocollo di riferimento è quello ideato dal dott. Gabe Mirkin e comunemente chiamato protocollo RICE, un acronimo per comprendere le parole Rest, Ice, Compression e Elevation, quindi riposo, ghiaccio, compressione ed elevazione. Il protocollo risale al 1978 e da allora è pratica comune in tutto il mondo, peccato però che dal 1978 la scienza è andata avanti e come spesso accade arriva anche a smentire se stessa in un processo di evoluzione che ci permette di comprendere sempre meglio il nostro corpo e la nostra salute.

Ad oggi il protocollo RICE, nel mondo medico e scientifico, ha sempre meno seguaci e viene messo in discussione costantemente. In particolare sono le prime due lettere dell’acronimo ad essere maggiormente dibattute. Riposo e ghiaccio sembrano essere infatti non ideali nel tentativo di recupero dell’infortunio e potenzialmente anche controproducenti.

Per tornare all’argomento dell’articolo dunque, il ghiaccio in questo caso non sembra essere l’ideale per il nostro corpo.

L’esposizione al freddo per gli atleti

Per gli appassionati di sport poi, non sarà capitato di rado di vedere gli atleti immergersi in acqua ghiacciata, torrenti freddissimi o entrare in una specie di serbaoti particolari in cui la temperatura è mantenuta ampiamente sotto lo zero.

L’idea alla base di questa pratica è quella che l’esposizione al freddo del corpo, successivamente ad un allenamento o competizione, possa aiutare a recuperare prima dalla fatica ed essere in condizioni migliori per gli allenamenti o competizioni successive.

Se andiamo a vedere cosa dice la letteratura scientifica a riguardo però ci accorgiamo che questa abitudine sportiva non sempre incontra un fondamento fisiologico a supporto per quanto riguarda una maggiore velocità di recupero anche se i risultati a volte sono contrastanti.

Come dimostrato da Kwiecien SY (2020) e Wilson LJ (2018), l’esposizione al freddo, sia essa attraverso crioterapia di tutto il corpo o attraverso PCM, non apportava benefici maggiori sul recupero degli atleti rispetto ai gruppo di controllo.

esposizione al freddo

Questi risultati sono però in contrasto con quanto osservato da Qu C (2020) in cui l’utilizzo di crioterapia su corridori di media e lunga distanza aveva risultati non solamente sulla scala VAS ma anche su parametri oggettivi come la concentrazione nel sangue della Creatina Kinasi e della proteina c-reattiva e anche effetti positivi sull’altezza del salto verticale, tutti parametri collegati al EIMD ovvero il danno indotto dall’esercizio fisico (Exercise-Induced Muscle Demage).

E nel calcio?

Anche per quanto riguarda il calcio i risultati non sembrano incoraggiare l’utilizzo dell’immersione in acqua fredda o crioterapia, visto che non si sono raggiunti dati significativi a livello fisiologico ma “solamente” a livello di percezione dell’atleta sul suo recupero. Insomma, gli atleti avevano la percezione di aver recuperato meglio ma a livello fisiologico questo non veniva riscontrato.

Anche se i risultati non sempre sono in linea tra loro, quello su cui la letteratura scientifica è d’accordo è che l’utilizzo di pratiche come la crioterapia, immersione in acqua fredda o l’utilizzo di PCM ha effetti positivi sul dolore muscolare e DOMS e può essere di aiuto quando l’atleta è sottoposto a due sedute ravvicinate, nella stessa giornata, di allenamento o a due competizioni (Leeder J 2011, Costello JT 2015, Hohenauer E 2015, Peake JM 2019, Kwiecien SY 2018, 2021, Wang Y 2021).

anabolic response

L’effetto sui muscoli

Un’altra tematica oggetto di studi relativa all’esposizione la freddo è quella relativa all’allenamento per l’ipertrofia, anche in questo caso le pubblicazioni indicano che le basse temperature a cui viene sottoposto il corpo sono controproducenti per i guadagni di massa muscolare (Peake JM 2020). Sempre Peake con due pubblicazioni nel 2019 sottolinea che il raffreddamento del corpo attraverso immersioni in acqua fredda, ripetuto nel tempo, è in grado di bloccare i meccanismi anabolici riducendo la sintesi proteica e sembrerebbe anche indurre i meccanismi catabolici, oltre al fatto che questo tipo di strategia per il recupero non si dimostrava superiore al recupero attivo per diminuire l’infiammazione e lo stress cellulare post-allenamento.

Alle stesse conclusioni sono arrivati anche Fuchs (2020) e Fyfe (2019), con un articoli in cui si evidenzia che immergersi nell’acqua fredda dopo un allenamento contro resistenza (es. pesi) abbassava la capacità del muscolo di rifornirsi degli aminoacidi assunti con l’alimentazione.

Anche la risposta del testosterone e delle citochine all’allenamento contro resistenza veniva attenuata dall’esposizione al freddo (Earp JE 2019).

Anche per quanto riguarda alcuni marker dell’infiammazione post-allenamento o gara, l’utilizzo di strategia come PCM, acqua fredda o crioterapia non ha portato a risultati positivi e uniformi. Sebbene alcuni studi abbiano riportato una diminuzione della Creatina Kinasi nel sangue, marker del danno muscolare (Dupuy O 2018, Banfi 2009).

Conclusioni?

Arrivati fin qui sembrerebbe che l’esposizione al freddo che spesso vediamo praticare, da sportivi e non, abbia realmente pochi effetti di cui la maggior parte legati a percezioni soggettive più che a dati oggettivi.

Nella seconda parte vedremo invece come possiamo sfruttare il freddo a nostro favore.

Articolo a cura di

Paolo Giovannetti

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